L’incredibile avventura del bibliotecario

La mia storia a qualcuno sembrerà incredibile. Vedo già da come mi guardate che non credete ai vostri piccoli occhi, figuriamoci alle vostre ridicole cartilagini attorno al bucolino cunicoloso che va al cervello tutto di un cunicolo con la peluria, insomma le orecchie. Venni in forma umana su due zampe, un bipede ancorché dotato di rivestimento dalla testa alle scarpe in più parti diviso e tessuti differenti quali cotone e acrilico e ancora cotone per l’intimo da raccomandare. Con passo ben calibrato nel ritmo e nel molleggiarsi di un lunedì mattina in cui serpeggia la nevrosi dentro alcune scatole con ruote di rotolamento invadenti o da poco fermatisi con leggero lasciar del nero sulla strada in scainare al semaforo ovvero per non tamponare uno, o con più garbo nel buco di strada aspettante et delimitato da strisce gialle speciali grazie al permesso anch’esso giallo in bella mostra con disegno. Ebbene essendo in forma umana io di riposo in quanto bibliotecario del mai citato comune rispettosamente. Camminante scortato da micioni uno bianco e nero e uno con grasse vibrisse, magnificoso divorator di triglie, mi informai per un pelo presso un palo del fatto che avrei potuto stare più attento nella mia peripatetica passione di lì a poco potenzialmente cappuccinesca. Sentendo tuttavia miagolare di molto, un brivido percorrendomi lungo la schiena come la chanson di molto famosa et ascoltata assai dalla mia giammai dimenticata ubertosa donna scappata, come si dice, con un altro, me lamentante. Dalla cima di un arbor veniva il canto dell’amore della miagolante bellezza della pianta encantada dalla declamazion del suddetto felinesco ardore per quanto suggestionato dalla propria incapacitate del ridiscendere dall’arbore summenzionato. Minzion fatta ai piedi dell’incriminato vegetale reo confesso dell’aver corrotto nelle promesse e nell’intortamento fatto con mielose parole mute vegetalissime inducenti el gatòn ad azione picaresca senza possibilità di ritorno. Alzando il mio contenuto del pantalone nell’arto destro nella fattispecie denominato volgarmente “gamba” et in medesmo istante afferrando con forza due, dico due, rami della pianta infingarda con gesto atletico non irrilevante per bipede ancora umano leggermente sovrappeso occhialuto e poco aitante a detta per lo più di individui appartenenti al medesimo genere maschile scattando nel giudizio inveterata ingiustificata invidia mentre del sesso opposto non azzardo ipotesi alcune in quanto imprevedibile e incomprensibile come vuole la letteratura di massa e molto cinema e canzonette. Per quanto in disaccordo, sicut erat in principio et semper, mi affido al luogo comune per sgombrare la mente e continuare nella necessaria violenza ai danni del poco conosciuto vegetale, tronfio della sua statura e dell’ergersi sui mortali tutti cementofili calcinacciofili, dicevo poco conosciuto in quanto corruttore e malefico per Miciosky battezzato in luogo di assiuolo e cucù ossessionante e instancabile martellio di cinguettamenti, rivelatisi infine tali deludendo ornitologiche ben maggiormente gratificanti aspettative, quasi d’aquila dalla testa bianca o poiana essere in effetti si diceva nient’altro che passeri divertiti dall’umano sfioramento di foglie e sgrobiamento già di ginocchio destro non so come e relativo bruciore nonché analogo piccolo ferimento al braccio sinistro a causa di slancio indelicato e poco calcolato. Ma ecco il sottoscritto seduto su scranno improbabile di un altitudine già ben sopra testa di umano non basso in statistica. Tra il fogliame in un non ancor meglio identificato sito trovasi il rumor, il canto, il codice morse di scalmanatello felino e pirata. Ora io in piedi sullo scranno come re giocoso, tendo la propaggine dotata di dita di ambo gli arti superiori a scansare con poco successo il vasto fogliame. Ed ecco grigio come l’asfalto l’essere dai nobilissimi antenati della nobiltate più onorata dell’egiziana specie sfingiata e deificata dei felinosi spesso giocanti in casa, ma questo qui è l’incurante dei gomitoli: vediamolo a piangere amare lacrime. Quindi io nell’atto benefico di afferrare il graffiator infallibile eccomi perdere gli equilibri e la posizione diventare meno salda quando mano stringe l’altra mano a seguito di ulteriore brucior indotto dall’unghietta nella carne che fu del suo salvator nell’imago della mente ma che è invece di povero bipede umano già nello schiantarsi al suolo con gran male e forse con caduta peggiore di molte negli annali ricordate. Piovve quindi rosso sul mio corpo ed ecco l’incredibile. L’incredibile si rappresenta con enorme buca o fossa quasi per me nell’occasione scavata in un battibaleno come battere d’occhio per la velocitate dello mio sprofondare quasi in abissi infernali e poi un risalire e ancor un ridiscendere nell’abisso della tristessa dello stato umano e poi ancora su in un divino inaspettato impasto di pasticcio di fegato alla veneziana e poi di terra tanta terra fresca entratami ne la boca e negli oci e ne le orecie e in tutta la mia persona. E sentivo tutto un rimescolare tanto che mi sembrava di avere cento braccia e cento gambe che poi sono le radici e la muschiante freschessa di un nuovo stato più che umano e meno che divino e nuove parole e linguaggi mi si profilano nell’angolo di un cervello di cui l’intelligenza di bipede umano resta la minor parte. Questo accadde di poco possibile ed oggi eccomi qua a raccontare la incredibile siffatta storia di un uomo aiuola prottettore di gatti e di emozione della natura intera di un mondo non troppo utopistico, nella mia ridicola risposta ai quesiti dei mici e delle vecchiettine, nella mia sincerità e in un contatto possibile con altri mondi et altra libertà.

© 2023 Giovanni Peli | Foto di Paolo Piccoli